Penguin Highway: la metafora della vita nel lungometraggio di Ishida
Tre aggettivi per definire Penguin Highway? Strano, stranissimo e davvero molto strano.
Di cosa stiamo parlando? Del film di Hiroyasu Ishida (regista di Fumiko’s confession e Sonny Boy & Dewdrop Girl), adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo per ragazzi di Tomihiko Morimi.
La storia è quella di Aoyama, ragazzino brillante e appassionato di scienza alle prese con le dinamiche della crescita (la scuola, gli amici e le prime infatuazioni) ma soprattutto alle prese con un bizzarro e inspiegabile fenomeno che all’improvviso avvolge tutta la città: un’insolita invasione di pinguini. Ma cosa sono davvero questi pinguini, e cosa rappresentano?
Il film è in verità molto diverso da ciò che appare, e sta forse proprio in questo la sua novità narrativa. Penguin Highway è un film divertente, che cattura lo spettatore fin dal primo momento grazie alla capacità di intrecciare le vicende personali del protagonista (i litigi con i bulli della scuola, l’infatuazione per la maestra di scacchi, le prime attenzioni rivoltegli dall’amica) con il mistero introdotto dal materializzarsi dei pinguini. Due filoni narrativi perfettamente bilanciati e intrecciati che illudono lo spettatore di trovarsi dentro una comune detective story che porterà prima o poi a svelare le ragioni di questa assurda invasione di animali. Ma è tutto solo un sapiente inganno.
Non è un caso, infatti, che proprio all’approssimarsi della conclusione emerge d’improvviso l’aspetto più magico e surreale della storia, pronto a prendere il sopravvento sul resto e a palesare a tutti che Penguin Highway non è affatto un film come tutti gli altri. Criptico, metaforico e profondamente analitico, il lungometraggio di Ishida è un film che parla della crescita, della vita, e anche della morte. Non solo, Penguin Highway è un film straordinario in grado di porsi domande sugli aspetti più comuni dell’esistenza (l’attrazione, il senso del bello, la curiosità, la scoperta…) senza tralasciare gli aspetti più scuri e inquietanti (la fine della vita e del mondo in generale, in una meravigliosa sequenza davvero indimenticabile). Il tutto senza mai dare una risposta chiara agli interrogativi avanzati.
Penguin Highway è un film bizzarro che non ci porta da nessuna parte. Ci pone domande, le stesse di sempre, e non ci dà risposte. Non ci svela nulla, non dispensa grandi verità; è un film che cattura lo spettatore, lo prende per mano e lo intrattiene per un lungo giro dove è sempre più quello che non si comprende di quello che si riesce a comprendere. E alla fine, quando il giro è concluso, ci riporta tutti al punto di partenza. Penguin Highway è una metafora dell’esistenza, e forse è per questo che lascia quella sensazione indefinita di piacevole confusione.
Curiosità: il mostro sognato dalla protagonista, il Jabberwocky, non è altri che il ben noto Ciciarampa (traduzione italiana), il mostro inventato da Lewis Carroll e presente nel seguito di Alice nel paese delle meraviglie, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò. Del mostro se ne parla attraverso una poesia citata nel romanzo che è considerata il più illustre esempio di nonsense scritto in lingua inglese. La poesia, infatti, non significa nulla ed è composta da una serie di parole prive di senso. La scelta di inserire proprio questo mostro nel film non deve essere stata affatto casuale.
FONDATRICE e DIRETTRICE – Laureata in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Milano, ama le storie più di ogni altra cosa. Si occupa di letteratura, editoria e cinema d’animazione. Tra i suoi film preferiti “Coraline”, “Mulan” e “Meet the Robinsons”.
Citazione preferita: «Around here, however, we don’t look backwards for very long. We keep moving forward, opening up new doors and doing new things, because we’re curious… and curiosity keeps leading us down new paths». (Walt Disney)