Lapix: intervista allo Studio Croma

Studio Croma è uno studio di animazione in stop motion nato nel 2010 a Bologna. Negli anni lo studio ha dimostrato di saper essere molto versatile dal punto di vista artistico, tecnico e organizzativo. Oggi la società è guidata da Arianna Gheller e Matteo Burani che saranno tra i protagonisti dell’evento Lapix che si terrà a Forlì dal 14 al 15 ottobre e che sarà occasione di incontro tra professionisti del settore dell’animazione e del game in Italia. A questo proposito li abbiamo incontrati per fargli qualche domanda.

Raccontateci com’è nato il vostro studio. Qual è stato il percorso che vi ha portato ad oggi?

Diciamo che ci sono state due fasi nella vita dello Studio Croma. La prima fase è nata sui banchi di scuola da un gruppo di ragazzi appassionati di stop-motion. Era circa il 2010 quando abbiamo cominciato a muovere i nostri primi passi, imparando pian piano. Un primo punto di svolta c’è stato nel 2012, quando il Future Film Festival ci chiese di realizzare la sigla di apertura dell’edizione di quell’anno. Questo è stato il momento in cui abbiamo capito che la nostra passione poteva diventare un lavoro. Così è iniziato il nostro viaggio e in questo percorso abbiamo raggiunto traguardi importanti. Abbiamo realizzato cortometraggi, abbiamo lavorato con Rai Ragazzi e con lo Zecchino d’Oro, abbiamo realizzato corsi di formazione con studenti da tutta Italia. Tutto questo ci ha fatto crescere fino al punto in cui abbiamo capito di voler concretizzare il nostro lavoro, e qui inizia la seconda fase. In piena pandemia, nel 2020, abbiamo realizzato che dovevamo strutturarci di più e siamo passati dall’essere un collettivo di ragazzi all’essere una s.r.l. a tutti gli effetti. C’è stato anche un cambio di location che ha accompagnato questa nuova fase.

Al momento siete all’opera su un nuovo progetto dal titolo Playing God che avete in parte finanziato con una campagna di crowdfunding. Come mai la scelta del crowdfunding?

Playing God è un progetto che nasce intorno al 2017, ed è cresciuto con noi. Inizialmente abbiamo cominciato a lavorarci, poi ci siamo resi conto che per realizzarlo al meglio serviva stilare un piano di finanziamento che tenesse conto di più possibilità. Una di queste era il crowdfunding che abbiamo sfruttato per un doppio scopo, da una parte ottenere finanziamenti, dall’altra fidelizzare il nostro pubblico. In questo senso abbiamo molto lavorato sulla nostra community social, soprattutto su Instagram. La campagna è stata un successo, abbiamo raggiunto il goal, e abbiamo anche esteso il nostro pubblico non solo alla cerchia italiana. Poi abbiamo accostato a questo metodo di finanziamento anche metodi più tradizionali, infatti lo scorso anno abbiamo vinto il bando di Film Commission. Grazie a questo progetto abbiamo potuto partecipare a tanti pitch internazionali e sono state esperienze che ci hanno fatto crescere. Abbiamo conosciuto altre realtà, altri modi di fare impresa, e questo percorso ci ha arricchito.

Raccontateci di più di Playing God.

L’idea che sta alla base del cortometraggio è nata da un periodo di forte stress lavorativo che abbiamo vissuto nel 2017 che ci ha permesso di capire che quello che davvero volevamo fare era realizzare un progetto del tutto nostro. Un progetto indipendente, che non avesse nessuna restrizione da parte di una produzione o di un cliente. Playing God è nato così, libero, e questa è la sua caratteristica principale, il suo punto di forza. Playing God è un corto che parla di quel momento di crollo, parla di stop motion e parla di creazione e distruzione. I protagonisti sono uno scultore (inteso come dio creatore) e la sua scultura (intesa come oggetto della creazione di qualcuno). La storia parla del processo artistico e di come sia sottile la differenza tra il creare e il distruggere. È una storia apparentemente semplice che però nasconde molteplici chiavi di lettura. La sua realizzazione è stato un percorso non facile e lo è tutt’ora. È una produzione fuori da certi canoni di sicurezza che possono tranquillizzare la maggior parte degli investitori e quindi non è stato facile trovare sostegno. In verità spesso si immagina la stop motion come un qualcosa di molto lungo e costoso, ma in parte è un mito. Anche le produzioni 2D o 3D possono essere molto lunghe o molto costose. Tutto dipende dal progetto.

La stop motion è una tecnica molto particolare perché all’animazione unisce anche una componente fondamentale e cioè quella artistica e di artigianato. Come nascono i vostri personaggi, qual è il percorso dal concept alla realizzazione?

Ciò che differenzia la stop motion dalle altre tecniche è che i personaggi non sono digitali ma reali e quindi il materiale ha un ruolo fondamentale nell’ideazione e realizzazione di un puppet. Prima di partire con un qualsiasi progetto noi ci chiediamo sempre: che materiale usiamo? E in base a questo si procede. Una volta realizzato il character design c’è la fase in cui si pensa a come costruire concretamente il puppet e in particolare si pensa alla struttura che deve essere in grado di reggere e far muovere il materiale scelto. Ad esempio per Playing God stiamo usando la plastilina perché richiama tanto la carne, la materia che viene plasmata e tutte le metafore che questo sottende. Lo scorso anno, invece, abbiamo realizzato Hypnotidoo, un cortometraggio che parlava di amore incondizionato. Per realizzarlo ci siamo orientati su materiali che comunicassero calore e dolcezza come ad esempio le stoffe e in particolare la lana cardata.

Voi che ormai avete diversi anni di esperienza, cosa potete dirci del panorama della stop motion in Italia? E come possono aiutare eventi di networking come l’evento Lapix a cui prenderete parte?

Partiamo da una considerazione positiva. Pian piano che gli anni passano, si stanno aprendo sempre più strade e possibilità per chi fa stop motion in Italia. In tutta sincerità, quando abbiamo iniziato, la stop motion era a malapena considerata. C’erano zero iniziative a supporto, e chi vi lavorava era visto sostanzialmente come qualcuno che perdeva tempo a scattare fotografie a dei pupazzi. Anche nei bandi il termine stop motion non compariva mai. Ora fortunatamente le cose stanno cambiando, ci si sta aprendo di più in questo senso. Ma non si è ancora raggiunto l’obiettivo principale, ovvero quello di creare un mercato. E questo ci porta inevitabilmente a un problema generazionale. Il mercato non c’è perché la nostra è la prima generazione a percepire il valore dell’animazione. Le generazioni precedenti non sono cresciute con l’animazione, e quindi non hanno interesse a valorizzarla. I bandi nazionali non sono neppure impostati per un progetto di animazione, sono pensati per i live action. Al momento in Italia si tende a pensare all’animazione solo in due categorie di mercato: animazioni tradizionali per bambini o prodotti pubblicitari. Bisogna provare a invertire la tendenza. In parte la nostra generazione si sta muovendo per creare nuove possibilità, Lapix ne è un esempio. Ma in ogni caso è difficile perché è un problema che ha a che fare anche con la formazione. Non esistono percorsi formativi di ampio respiro che insegnano animazione in stop motion e questo crea a sua volta un problema di conoscenza del settore.

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