La forma della voce: i ragazzi che siamo e che siamo stati
«Sai, prima di incontrarti stavo pensando alla morte»
Scritto da Reiko Yoshida, sceneggiatrice de La Ricompensa del Gatto dello Studio Ghibli e diretto da Naoko Yamada, una delle rare registe giapponesi, La forma della voce è uno dei film d’animazione più coraggiosi realizzati negli ultimi tempi. La storia è quella di Shoko Nishimiya, una ragazzina non udente, vittima del bullismo del suo compagno Shoya, anche lui in seguito preda dei suoi compagni di scuola.
Ma diciamolo subito, La forma della voce non è solo un film sul bullismo. Anzi, la sua forza maggiore sta proprio nel saper andare oltre questo pretesto narrativo per raccontare in modo più autentico e crudo il mondo degli adolescenti e gli anni della scuola. In questo lungometraggio firmato Kyoto Animation c’è tutto; c’è la ferocia dei bambini, la crudeltà degli adolescenti, il bisogno viscerale dei giovani di ferire l’altro e tormentare il più debole per affermare se stessi. Ma la cosa che colpisce di più in questo film d’animazione è indubbiamente il coraggio di rappresentare in modo brutalmente reale i ragazzi che siamo stati o che siamo tutt’ora. Difficile non riconoscersi nei tanti personaggi protagonisti della storia, dalla timida Shouko, alla cattivissima Naoka Ueno, dalla remissiva Miki Kawai al problematico Shoya Ishida. Tutti oggetto di una caratterizzazione così sottile e acuta da superare in modo stupefacente qualsiasi facile stilizzazione a cui ci hanno abituato le storie legate all’adolescenza.
E difficile anche non rimanere turbati dal candore con cui il film ci mette davanti ad aspetti brutti della vita di tutti i giorni, dalle difficoltà economiche della famiglia di Ishida alla voce grottesca della protagonista sordomuta.
Ma come si è detto, se il bullismo verso la giovane protagonista appare come tematica principale, è un’altra la riflessione che emerge sotto la superficie. Un’altra forma di bullismo viene a galla in questo lungometraggio: il bullismo che operiamo contro noi stessi, la pretesa di diventare qualcosa che non sempre siamo in grado di diventare. L’ostinazione di dover raggiungere quell’immagine perfetta a cui vorremmo corrispondere, senza concederci scusanti di alcun tipo, fino a rifiutare il fallimento e a desiderare la morte. Ed è anche un film sulla morte La forma della voce. La morte, anzi il desiderio di morte come conseguenza inevitabile della sfiducia in se stessi, affrontato in questo film senza alcun timore e abbattendo ogni tabù; una crisi superabile solo precipitando fino in fondo nella spirale della depressione per poi riemergere con la sola consapevolezza che la difficoltà nell’accettare se stessi ci accomuna tutti, ed è una condizione che non cambierà mai. È un inno alla sopravvivenza e al coraggio La forma della voce, che nonostante ceda spesso a inclinazioni di genere sa emozionare e incantare come i grandi capolavori.
FONDATRICE e DIRETTRICE – Laureata in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Milano, ama le storie più di ogni altra cosa. Si occupa di letteratura, editoria e cinema d’animazione. Tra i suoi film preferiti “Coraline”, “Mulan” e “Meet the Robinsons”.
Citazione preferita: «Around here, however, we don’t look backwards for very long. We keep moving forward, opening up new doors and doing new things, because we’re curious… and curiosity keeps leading us down new paths». (Walt Disney)