Loving Vincent – la recensione
“Vuoi sapere così tanto della sua morte… che cosa sai della sua vita?“
Loving Vincent chiarisce il messaggio del film a partire dalla scelta del titolo: “Con amore, Vincent” era infatti la chiusa di tutte le lettere del celebre Van Gogh indirizzate al fratello Theo. La vita di Vincent, i suoi timori e le sue speranze, spesso confidati al fratello attraverso la loro corrispondenza, sono alla base del racconto quanto i misteri legati alla sua morte. E proprio da una di queste lettere ha inizio la storia: siamo nel 1891, un anno dopo la morte del pittore; Armand Roulin, giovane impulsivo e privo di aspirazioni, viene incaricato dal padre (un postino grande amico di Van Gogh) di recapitare a Theo una lettera di Vincent che è stata rinvenuta da poco. Il ragazzo accetta con riluttanza, imbarazzato dall’affetto del padre per un uomo così eccentrico, ma inizia ugualmente il suo viaggio; un viaggio che lo porterà a scoprire tutto sull’uomo dietro al mito e sui conflitti interiori del pittore semplicemente etichettato da tutti come “pazzo”.
Dopo aver saputo da Père Tanguy (commerciante di colori) che anche Theo è deceduto poco tempo dopo il suicidio del fratello, Armand si mette alla ricerca di un nuovo destinatario per la lettera. Arriva a Auvers-sur-Oise, il paese dove Van Gogh trascorse l’ultimo periodo della sua vita, per incontrare il medico che lo aveva in cura al tempo, il Dottor Paul Gachet. Ma durante il soggiorno fa la conoscenza di tutti i personaggi che hanno popolato la vita di Vincent nei suoi ultimi giorni: Adeline Ravoux, ragazza solare figlia del proprietario della locanda dove alloggiava il pittore; il barcaiolo che accompagnava Vincent durante le sue giornate passate a dipingere nella natura; la governante di casa Gachet, donna austera e bigotta apertamente avversa a Vincent; e infine la figlia del dottore, la bellissima e misteriosa Marguerite Gachet, che trascorreva il tempo libero con Van Gogh dando adito a pettegolezzi sulla loro relazione.
Un sospetto comune alla maggior parte delle persone vicine a Vincent inizia però a tormentare Armand: perché mai una persona che sembrava essersi ripresa e vivere serena, ha scelto improvvisamente di suicidarsi, in circostanze così strane? Perché spararsi all’addome? Come è possibile che il proiettile non sia fuoriuscito, a una distanza così ravvicinata? E perché il dottore non ha fatto tutto quanto era in suo potere per salvarlo? In breve, si è trattato davvero di un suicidio? Man mano che i fili della storia iniziano a intrecciarsi e la verità prende forma, l’indifferenza di Armand per la sorte del pittore si trasforma in una sorta di empatia che gli permette di conoscere questo personaggio senza più pregiudizi.
Quante volte a scuola, durante l’ora di storia dell’arte, avete sfogliato distrattamente le pagine che raffiguravano i dipinti di Van Gogh mentre il professore vi parlava di un artista cupo, tormentato, incompreso, violento, talmente incapace di trovare un suo posto nella realtà da preferire infine il suicidio?
Loving Vincent riapre il discorso mostrando un lato del pittore troppo spesso trascurato: quello dell’uomo pieno di voglia di vivere, di ricominciare, di ripagare le aspettative dei suoi cari e di quanti credevano in lui, nonostante i continui cedimenti della sua salute psichica. La consapevolezza che non sarebbe mai stato rispettato perché privo di una posizione sociale non affliggeva Vincent; non ambiva al rispetto o alla stima delle persone, né a particolari riconoscimenti per il suo talento. Come confida in una delle sue lettere al fratello: «Voglio che la gente dica delle mie opere: sente profondamente, sente con tenerezza».
La resa visiva del film, poi, lascia semplicemente senza fiato: primo lungometraggio interamente dipinto su tela, stupisce per la sua capacità di far entrare lo spettatore direttamente all’interno del quadro, e metaforicamente nell’anima di Vincent, vedendo attraverso i suoi occhi. Un capolavoro che ha richiesto sei anni di lavorazione, grazie a un team di 125 artisti e circa 1345 dipinti scartati nel processo, e che ha riscosso il Premio del Pubblico all’ultimo Festival d’Annecy.
Nel film sono rappresentati ben 94 dipinti dell’artista, in una forma simile a quella originale; tra cui i celebri Caffè di notte e Notte stellata. Scritto e diretto da Dorota Kobiela & Hugh Welchman, vanta nel cast attori come Douglas Booth (Romeo and Juliet, Noah, Grandi Speranze) nel ruolo di Armand, Jerome Flynn (Game of Thrones) per il dottor Gachet, Saoirse Ronan (Espiazione, Ember – Il mistero della città di luce) come sua figlia, Marguerit Gachet, e infine Robert Gulaczyk nelle vesti del protagonista del film, Vincent Van Gogh.
COFONDATRICE e ART DIRECTOR – Laureata in Design della Comunicazione presso il Politecnico di Milano, 3D artist e regista di animazione. Ha lavorato come 3D modeler e texture artist presso diversi studi di animazione e videogiochi, tra cui Studio Bozzetto e Forge Reply. Ha diretto e realizzato il cortometraggio in CGI “Solo un salto”, prodotto da Rai Ragazzi e Anica. Ama trasmettere la sua passione per questo lavoro, e per questo gestisce un canale Youtube di tutorial sull’argomento. Si interessa di animazione in tutte le sue forme, dalla stop-motion all’animazione tradizionale alla CGI.
Citazione preferita: «Chiunque può cucinare» (Ratatouille)
Portfolio: https://www.artstation.com/dory_animation